FIBROMIALGIA 

La malattia, a lungo considerata psicosomatica, ha una base genetica e uan componente autoimmune, come la celiachia, il lupus e certe forme di tiroidismo. 


La fibromialgia è la prima causa di assenza dal lavoro nel mondo: colpisce una percentuale spaventosa, fino al 10% della popolazione e non è diagnosticata, perché fino a 30 anni fa era considerato un disturbo di natura psicosomatica, dunque come tale un po’ dimenticato. 

Nuovi studi dimostrano che la malattia, che colpisce l’apparato muscolo-scheletrico, ha una componente autoimmune. Una scoperta che permetterà un approccio nuovo, non basato esclusivamente sul ricorso ad antinfiammatori e antidolorifici.


La fibromialgia come una malattia autoimmune

La ricerca, pubblicata sul Journal of Clinical Medicine, ha indagato le cause di questa malattia (soprattutto femminile) che in Italia colpisce circa 2 milioni di persone, lasciandone però molte altre senza una corretta diagnosi. «Lo studio condotto insieme all’università di Verona ha indagato il genoma, che contiene le informazioni sullo stato di salute delle cellule, ed è stato associato a test sierologici su un vasto campione di pazienti, mostrando come la fibromialgia è una malattia che presenta aspetti autoimmuni. Questo spiega anche perché colpisca maggiormente le donne (che sono più predisposte a soffrire di patologia autoimmuni come alcune forme di tiroidismo) o soggetti che presentano anche altre sindromi autoimmuni, come la celiachia, il lupus eritematoso o alcune dermatiti. Si tratta di una novità perché finora la base autoimmune della fibromialgia non era mai stata accertata» spiega il professor Puccetti.


Le nuove cure

Si presenta con un dolore diffuso, di natura muscolo-scheletrica, spesso alle braccia e agli arti. Un’altra caratteristica frequente è l’astenia, il senso di stanchezza, la perdita dell’orologio biologico interno, come se fossimo sotto l’effetto continuo del jetlag, del cambio di fuso orario: si smette di dormire o si dorme male. Si possono anche presentare patologie associate, come disturbi intestinali o malattie di tipo urogenitale (cistite nelle donne, prostatite negli uomini). I risultati della ricerca, però, sono incoraggianti perché ci permettono un nuovo approccio alla cura. Se finora si ricorreva prevalentemente ad antidolorifici, antiinfiammatori e in alcuni casi ad antidepressivi, ora possiamo contare sul trattamento bioenergetico come NAET. 


Cosa cambia 

Finora si è agito soprattutto sulla riduzione del dolore ricorrendo anche a morfina e cannabis. Adesso, invece, possiamo intervenire alla radice del dolore, cioè sull’infiammazione che interessa le terminazioni nervose. E che non è altro che il risultato di una risposta immunitaria esagerata. Per colpa dell'infiammazione, le terminazioni nervose ‘vanno in tilt’ e traducono il dolore in misura molto amplificata e di gran lunga superiore a quella che percepirebbe una persona non ammalata: se un soggetto sano percepisce 1, un fibromialgico arriva a sentire fino a 1 milione. Il numero di sedute varia da paziente a paziente, a seconda del proprio sistema immunitario e della gravità 


Quali sono i fattori scatenanti

Partendo dalla considerazione che c’è una predisposizione genetica, esistono poi una serie di cause che possono essere scatenanti e contribuire all’insorgenza della sindrome: di solito c’è un forte stress, che può essere dato dalla perdita di un familiare, un divorzio, o magari un problema lavorativo che investe anche la sfera personale. Un’altra componente può essere un’infiammazione di tipo virale, come il contatto con il virus che causa la mononucleosi. È dunque una sindrome multifattoriale che, pur essendo molto invalidante per chi ne soffre – perché si arriva a non andare al lavoro o a non uscire per fare la spesa o incontrare persone – ha almeno il “vantaggio” di non avere una prognosi negativa, di tipo oncologico: insomma, non evolve in un tumore e, nonostante il dolore intenso, non aggredisce le articolazioni o la muscolatura» spiega l’esperto.